XX anniversario del genocidio dei Tutsi in Ruanda
I fatti in sintesi
Caratteristica del genocidio ruandese è il breve tempo in cui esso si è svolto, 100 giorni per un milione di morti, preceduto da un’intenzione e pianificazione genocidaria che solo poche persone hanno saputo cogliere e denunciare. Particolarmente gravi appaiono le responsabilità istituzionali dell’ONU, che ha riconosciuto il genocidio con colpevole ritardo.
Alla vigilia dei fatti, nella primavera 1994, il Ruanda – popolato da circa 7 milioni di abitanti, di cui l’85% di etnia hutu, il 14% di etnia tutsi e il rimanente 1% di etnia twa – si trovava afflitto da quattro anni di sanguinosa guerra civile che opponeva tutsi e hutu. L’11 gennaio, Roméo Dallaire, comandante del contingente Onu Unamir in Rwanda, aveva inviato un fax alla sede di New York, avvertendo dell’imminente pericolo che una tale violenza prendesse proporzioni ancora più estese. Il suo avvertimento rimarrà inascoltato così come le successive richieste, durante il genocidio stesso, di poter disporre di un rinforzo di soldati caschi blu per disarmare i carnefici.
Il presidente e dittatore del Ruanda Juvénal Habyarimana, al potere dal 1973 e di etnia hutu, aveva firmato un accordo di pace ad Arusha, in Tanzania, con il Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) a guida tutsi, allo scopo di mettere fine alla guerra civile.
Il 6 aprile del 1994, l’aereo che lo riportava a casa (su cui viaggiava anche il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira), fu oggetto di un attentato commesso da estremisti del suo stesso partito, convinti che il loro leader avesse concesso troppo alla controparte nemica nei negoziati di pace. Il velivolo venne abbattuto da un razzo. La morte del presidente Habyarimana fu presa a pretesto dagli hutu per avviare una serie di massacri sanguinosi e indiscriminati nei confronti della minoranza dei tutsi, ritenuta responsabile dell’attentato. La radio nazionale ruandese (la Radio des Milles Collines) e alcune stazioni private trasmettevano istruzioni agli squadroni della morte, i cosiddetti Interahamwe (che in lingua kinyarwanda significa “quelli che combattono insieme”), e spronavano incessantemente gli assassini ad accelerare il massacro. «Dovete sterminare tutti gli scarafaggi». «Le tombe sono riempite solo a metà: chi vuole aiutarci a riempirle del tutto?»: sono solo due delle frasi terribili ma esemplari pronunciate dalla radio per incitare alla violenza. Gli scarafaggi erano i tutsi secondo i carnefici.
Nel genocidio furono uccisi e perseguitati anche gli hutu considerati “moderati” o tolleranti. Nel giro di 100 giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, furono uccise almeno un milione di persone, la maggior parte a colpi di machete importati dalla Cina, ci furono decine di migliaia di stupri e di bambini arruolati come soldati.
Nel 1924 la regione Rwanda-Burundi, esplorata a fine ‘800 dai tedeschi, era stata affidata al Belgio con mandato della Società delle Nazioni.A quell’epoca i tutsi erano pastori e componevano l’aristocrazia che gravitata attorno al re (mwami), considerato un sovrano dotato di poteri sovrannaturali; mentre gli huti erano prevalentemente contadini e subivano discriminazioni come parte dei sudditi considerati di minore importanza. La cultura dominante teorizzava una superiorità innata dei tutsi rispetto agli hutu, per capacità e carattere.
Accreditando teorie fisiognomiche diffuse fin dal secolo precedente e sfruttando questa divisione sociale già esistente tra le due etnie del Ruanda, i belgi avviarono una politica di sfruttamento coloniale appoggiandosi all’etnia tutsi. In sostanza quella che era nata come una divisione “naturale” tra le due etnie divenne presto un conflitto aperto tra etnie, imposto dall’occupante belga che instaurò un regime feudale sottomettendo gli huti e la piccolissima minoranza dei twa. Nel 1933 i belgi inseriranno l’etnia di appartenenza (hutu e tutsi) sui documenti di identità ruandesi. L’appoggio belga ai tutsi termina negli anni ’50, a seguito del malcontento provocato dallo sfruttamento coloniale, che porta gli hutu a ribellarsi ai tutsi e i tutsi a progettare l’indipendenza del Paese dal Belgio. I colonizzatori sceglieranno allora di appoggiare la rivolta degli hutu che nel 1962 proclameranno la Repubblica del Ruanda.
Col tempo si seppe che il governo ruandese aveva pianificato per tempo il massacro e che era attrezzato di liste precise che indicavano chi uccidere e chi no. D’altra parte da qualche tempo le carte d’identità specificavano chi fosse hutu e chi tutsi, e tra i gruppi etnici c’erano alcune differenze fisiche – per esempio la corporatura e la forma del naso – che rendevano semplice identificarsi.
A luglio le milizie tutsi, guidate da Paul Kagame, deposero il governo degli hutu e misero fine al massacro. Kagame divenne il presidente provvisorio del paese, fu eletto democraticamente nel 2003 e rieletto nel 2010. Il suo secondo e ultimo mandato terminerà nel 2017, un anno fa il suo partito ha vinto le elezioni legislative con il 76 per cento dei voti. L’atteggiamento disinteressato della comunità internazionale e l’inazione dell’ONU sono stati oggetto negli anni di critiche durissime, così come gli atteggiamenti tolleranti o collaborativi di alcuni grandi paesi occidentali verso una delle parti in causa, come la Francia verso i tutsi.