Ruanda, 1994: un genocidio tra vicini di casa
Scopri il mini sito della mostra curata dal Mémorial de la shoah di Parigi e un video di presentazione
Il massiccio coinvolgimento della popolazione civile e l’ambito territoriale ristretto entro il quale vivevano e interagivano assassini e vittime, rappresentano due caratteristiche specifiche del genocidio perpetrato in Ruanda – in un clima di indifferenza internazionale pressoché totale – ai danni dei Tutsi e degli Hutu moderati, quale risultato di una logica di sterminio pensata e attuata da uno Stato.
Fu proprio contando sulla partecipazione al crimine da parte di assassini che vivevano sul posto e conoscevano molto bene le vittime, con cui erano amici, colleghi, talvolta persino parenti, che fu possibile mettere in atto con estrema efficacia e rapidità un progetto di genocidio elaborato dai dirigenti al governo in quel Paese.
Così, amici di lunga data, parenti e famigliari delle vittime, imbevuti di ideologia razzista, si trasformarono in carnefici e unirono le proprie forze per condurre il genocidio con la massima efficienza, peraltro incoraggiati da un contesto generale di impunità e di incitazione al massacro mediante un’azione intensiva di propaganda attivata dalle strutture statali ruandesi. Tra gli assassini, raggruppati in piccole formazioni, chiamate ibitero, vi furono anche molti giovani, persino donne, adolescenti e bambini.