Mein Kampf
La Germania ribadisce il divieto alla riedizione del Mein Kampf anche dopo la scadenza dei diritti d’autore
Alla fine del 2015, quando scadranno i diritti di tutela del Mein Kampf, (“La mia battaglia”) il libro-manifesto di Adolf Hitler contenente il suo programma politico, l’opera entrerà di fatto in pubblico dominio e potrà essere liberamente ristampata, con o senza commento critico, e utilizzata da chiunque, esattamente come avviene in molti paesi per qualsiasi creazione intellettuale dopo settant’anni dalla morte dell’autore. Ma la Germania continua ad opporre un divieto categorico alla sua circolazione sul suolo tedesco per timore che il pamphlet diventi un potente strumento dei movimenti neo-nazisti e fomenti l’odio razziale e l’antisemitismo.
Sebbene la legge tedesca non abbia mai vietato la ristampa e la vendita del testo, dalla fine della guerra il testo non è più stato ripubblicato da nessun editore tedesco, né in versione integrale né parziale. Inoltre, il governo della Baviera – proprietario intellettuale dell’opera da quando si vide affidare i diritti del Mein Kampf dagli Alleati nel corso del processo di denazificazione che seguì la fine della guerra -, ha sempre opposto un veto alla sua circolazione in Germania, giustificando la proibizione con la necessità di impedire la diffusione delle idee razziste e antisemite. Infine, sempre secondo il Land bavarese, la circolazione del manifesto politico di colui che trascinò la Germania e l’Europa in una catastrofe, oltre a rappresentare una pericolosa incitazione all’odio, costituirebbe un affronto alle vittime del nazismo e, in particolare, della shoah, offendendo la sensibilità dei superstiti dell’epoca.
Per tali ragioni, la Baviera ha sempre difeso strenuamente la propria posizione, anche intentando numerosi processi ai diversi paesi che dal dopoguerra a oggi hanno ripubblicato, spesso in edizione critica, il libro di Hitler, Italia inclusa.
Eppure negli ultimi anni, anche nella stessa Germania, si sono levate, in vari ambiti, voci favorevoli ad una riedizione critica dell’opera, per esempio anche da parte del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi (contro la ferma opposizione, invece, dei rappresentanti delle organizzazioni dei Sinti e dei Rom tedeschi), nella consapevolezza che fosse preferibile una pubblicazione commentata, anche a scopo didattico per le giovani generazioni, rispetto alle numerose pubblicazioni clandestine del testo integrale che continuano a circolare ovunque, più o meno sotto banco, e sul web. Senza contare l’opinione degli storici tedeschi e non tedeschi, che hanno sempre considerato il Mein Kampf come una fonte imprescindibile per comprendere il pensiero di Hitler, da rendere dunque accessibile alla ricerca e all’analisi degli studiosi.
Così, qualche anno fa, un gruppo di ricercatori del prestigioso Institut für die Zeitgeschichte (Istituto di storia contemporanea) di Monaco, forte di un ingente finanziamento ottenuto dal ministero delle finanze proprio del Land bavarese, ha potuto avviare un ampio lavoro di riedizione critica dell’opera, con l’obiettivo di una prossima pubblicazione alla scadenza dei diritti del libro. Ma il dibattito attorno alla riedizione del Mein Kampf è sempre rimasto violentissimo nella patria del nazismo, in un alternarsi di censure e posizioni più liberali. Nel dicembre 2012, a seguito di un viaggio diplomatico in Israele di un dirigente del Land e di accese proteste da parte di alcune organizzazioni ebraiche locali, nonché, pare, dello stesso Shimon Peres, la Baviera si trovò in una posizione di grande imbarazzo (dopo averne vietato per decenni la riedizione, aveva firmato una legge che ne finanziava la pubblicazione critica) che la condusse a un clamoroso dietro-front, trincerandosi nuovamente dietro una posizione di divieto assoluto circa la riedizione del testo e addirittura minacciando l’Istituto di storia contemporanea di denuncia per reato.
Al divieto seguì un dissenso piuttosto ampio all’interno del governo bavarese e una spaccatura tra i rappresentanti della censura dell’opera e i sostenitori della libertà della ricerca scientifica, questi ultimi usciti vincitori e firmatari di una tregua, almeno momentanea, nella querelle sul Mein Kampf in Germania.
Infine pochi giorni fa, a metà giugno scorso, l’ennesimo colpo di scena. I ministri dei 16 stati regionali (Länder) tedeschi riunitisi a Binz (nord-est della Germania) hanno ribadito il fermo divieto alla pubblicazione, anche dopo la scadenza dei diritti d’autore del libro, sollecitando la magistratura tedesca a individuare sanzioni in caso di trasgressione del divieto da parte degli ambienti universitari e degli storici.
Malgrado un clima incandescente di divieti e di appelli alla libertà di stampa, il progetto di studio condotto dall’Istituto di Monaco prosegue e una riedizione critica del testo vedrà la luce alla fine del 2015, ponendosi sul mercato come prima edizione universitaria del Mein Kampf. L’obiettivo, secondo le parole dello storico Christian Hartmann che dirige i lavori, è rivolto a correggere le numerose incongruenze e mistificazioni dell’autore e del suo manifesto politico, permettendo al grande pubblico di confrontarsi con una versione critica dell’opera di Hitler che consenta senza ombra di dubbio di prendere le distanze da un’ideologia criminale.
Proprio svelare la falsità e la natura criminale dei principi ideologici sui quali si basava il programma politico del leader del nazionalsocialismo rappresenta, sempre secondo Hartmann, un obiettivo irrinunciabile.
In questo modo, sostengono gli storici tedeschi, si contribuirà anche a privare il libro di quell’alone di tabù e di fascino misterioso che gli attribuiscono le edizioni clandestine.
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Su Mein Kampf di Adolf Hitler
Redatta nel 1924 nella prigione di Landsberg am Lech, tranquilla cittadina della Baviera, dove Hitler scontava una condanna per il fallito putsch di Monaco, l’opera è composta da due parti. La prima, di taglio autobiografico, verrà pubblicata alla scarcerazione dell’autore nel 1925, mentre la seconda, di netto orientamento ideologico, verrà diffusa alla fine del 1926. Nel 1930, infine, le due parti verranno unite in un unico volume di 700 pagine e da allora ripubblicato continuamente per tutta la durata del Terzo Reich, diventando uno dei testi politici più venduti di tutti i tempi (stampato in 10, forse 12 milioni di copie solo in Germania dal 1933 al 1945, secondo le stime dello storico Ian Kershaw, tra le massime autorità del mondo accademico che hanno studiato la figura di Hitler e il nazismo).
Nel Mein Kampf Hitler espone le sue idee violentemente razziste, articolate secondo una visione gerarchica e zoologica dell’umanità al cui vertice vi sarebbero gli “ariani”, portatori di civiltà e meritevoli di dominare le altre civiltà e il mondo. Rispetto a questa Weltanschauung (visione del mondo), gli ebrei non costituirebbero banalmente una razza inferiore, alla stregua degli slavi o dei neri, ma una Gegenrasse, ovvero una contro-razza, un’entità estranea al genere umano, malefica, dannata, corruttrice e pericolosa per la Germania. Un’entità da eliminare per il bene comune.
Nel pamphlet trovano ampio spazio anche le idee politiche di Hitler rispetto al Lebensraum, allo spazio vitale, alla guerra, ai nemici della Germania, all’insegna di un forte risentimento e di rivalsa rispetto alle umiliazioni del Trattato di Versailles.
Alla redazione del testo contribuì anche il compagno di partito e di prigionia Rudolf Hess, al quale Hitler dettò ampie parti dell’opera.
Definito la «bibbia nazista», Mein Kampf veniva donato a tutte le coppie “ariane” del Reich che si univano in matrimonio. Fu edito in innumerevoli versioni, integrali e parziali, condensate e adattato a fumetti, pubblicizzato con metodi innovativi, stampato persino in versione braille.
In Francia e in Italia venne tradotto nel 1934 (in Italia da Bompiani, su interessamento e grazie al sostegno finanziario dello stesso Benito Mussolini). Tuttavia in Italia venne pubblicata nel 1934 solo la prima parte del libro, mentre la seconda vedrà la stampa nel 1938.
Con la morte del suo autore e la fine della guerra, il successo del libro non conobbe battute di arresto, continuando a circolare di paese in paese, con una vera e propria esplosione editoriale nei paesi arabi, Iran in testa.
Oggi il “Mein Kampf” è reperibile in quasi tutte le lingue (ma vietato in Austria e in Israele). L’edizione critica italiana è stata curata con grande rigore da Giorgio Galli nel 2002 per un editore notoriamente di simpatie comuniste (KAOS). Qualche anno fa il “Mein Kampf” è stato un best-seller in Turchia, schizzando in testa nelle classifiche dei libri più venduti. Nel 2009 ne è stata stampata una versione manga in Giappone.
In Francia, dal 1979 per decisione della Corte d’Appello di Parigi, ogni ristampa dell’opera deve essere accompagnata da una parte introduttiva di spiegazione critica che metta in guardia il lettore sul contenuto del libro.
Sulla genesi e sulla fortuna editoriale del libro, vero e proprio best seller mondiale, è uscito qualche anno fa un saggio di Antoine Vitkine, Mein Kampf. Storia di un libro (edizione originale Flammarion, 2009), tradotto in italiano da Cairo editore nel 2010